Un mese fa ho attraversato via terra tre paesi dell’Europa del nord.
Dalla Germania sono andata in Svezia passando per la Danimarca a bordo di un bus.
Ad una delle frontiere, precisamente in Danimarca, ai passeggeri è stato richiesto di esibire il passaporto alla polizia di frontiera.
Due aitanti poliziotti sono saliti a bordo per il controllo, e arrivati a me uno di loro, con uno smagliante sorriso danese (non c’è sarcasmo, i danesi sono cool) mi ha chiesto: do you have a visa?
L’ho guardato stralunata, non ho capito. Ma davvero. Lui ha colto l’espressione, ha ripreso in mano il passaporto per guardare meglio e mi ha detto: ahh, you’re italian!
Yes, gli ho detto. Ah ok, sorry! Ma mentre se ne andava gli ho chiesto, sorridendogli sinceramente: just a question: where did you thought I’m coming from?
Si è voltato a guardarmi, imbarazzato, si è voltato, si è rivoltato, e timidamente ha risposto: I won’t tell you.
Ho continuato il viaggio, e giunta a destinazione ho raccontato quello che era successo al mio biondissimo e nordicissimo amico, chiedendogli: dimmi la verità, secondo te da dove pensava venissi?
Lui mi ha detto: Schatzi, dalla Syria.
Ok, sembro siriana, ho pensato, wow! Con un sincero piacere per il mio (solo esterno?) aspetto mediorientale. Il mio amico, stupito dalla mia reazione, mi ha detto: penso che non sarebbe stato così divertente se tu fossi stata davvero siriana.
Aveva ragione.
Qualche giorno dopo siamo andati in piscina. Siccome vivevamo in una casetta nel bosco senza acqua corrente, una doccia calda ci stava, viste le latitudini e i miei bagni al mar Baltico.
Mentre col mio corpo molto tatuato e abbastanza scuro dal sole che riesco a rubare a Berlino mi pettinavo paziente i capelli, sentivo gli sguardi delle candide svedesi posarsi curiosi su di me, finché una mamma con la sua bambina si è allontanata per andare a continuare i suoi rituali saponati ad una doccia distante dalla mia.
I don’t care, ma ho registrato la scena.
Fuori dai vapori, sotto una scrosciante pioggia svedese, la racconto al mio amico che mi dice: è la tua radianza, a volte è troppa per chi vive lunghi inverni.
E’ gentile, penso, ma non può essere.
Oggi tornavo a casa da una delle mie nuotate berlinesi (una stupenda piscina da 50 metri al centro di Kreuzberg) e da un po’ di sole che quest’estate tende a negarsi, i capelli vaporosi, una tuta chiara, un bomber, e i miei italianissimi occhiali da sole. Mi sentivo proprio una bella italiana in vacanza in quella che ormai considero la mia città.
Ero sovrappensiero quando un uomo anziano incrociandomi dice qualcosa e sputa nella mia direzione. Sono letteralmente trasalita.
Sarà stata la violenza del gesto, la mia profonda incomprensione del movente, sarà che sono in premestruo (detto anche il periodo tu-no-tienes-la-culpa-mi-amor-que-el-mundo-sea-tan-feo) ma ci sono rimasta malissimo. Di solito sono più veloce a riprendermi, a comprendere, a lasciare andare, ma oggi ci ho proprio messo un po’ e questo articolo è il tentativo di trasformare una brutta esperienza in un atto creativo, di condivisione e riflessione.
A casa il mio amico tedesco mi ha detto: Schatzi, ha pensato che tu fossi siriana. Sai, c’è tanta gente razzista anche qui, sii compassionevole anche stavolta, come tu sai essere. Poverino è lui. Loro* (anziani tedeschi di destra. Ora declina, e pensa alla Brexit) pensano: guarda quanti stranieri, e a noi chi ci pensa?
Ah, so di cosa parli, in Italia è lo stesso, se non peggio.
Con l’aggravante che siamo quasi tutti piccoli e neri come me.
Con l’aggravante che il viaggio della speranza l’abbiamo fatto nei carghi.
Con l’aggravante che tutti abbiamo lontani parenti in America e Australia.
Con l’aggravante che io sono venuta a vivere nella multiculturale Berlino perché non ne potevo più.
Con l’aggravante che noi i rifugiati non li accogliamo, neanche li vediamo, come invece Berlino fa.
Con l’aggravante che io sono in preciclo ma tranquillo ora mi passa, mangio una fetta di tiramisù.
E mi sono ricordata che in qualche giorno di questa estate mi era già capitato, ma lo avevo ricondotto alla pista ciclabile, tanto era stato incomprensibile per me: ero in bici, quando ho incontrato un amico che sbucava dal suo furgone. Mi sono fermata a salutarlo, e ancora una volta un signore anziano sfrecciando in bicicletta mi ha sputato, prendendo lo zaino.
Sono rimasta sconvolta (solo un minuto perché quella volta non aspettavo le mestruazioni), ma più di me era rimasto sconvolto il mio amico tedesco, e mentre io gli dicevo: bah, sarà perché ero nella pista ciclabile? Lui: ma no, ci passava un tir, tu non c’entri nulla. E non mi ha detto altro, “limitandosi” a pulirmi lo zaino dal gesto del vecchio. Né io ho indagato: non gli ho dato peso. Un pazzo esaurito, punto.
Questa volta però sì.
Ma adesso unisco i puntini, e vedo molte cose insieme.
Vedo i tedeschi berlinesi bellissimi, i miei amici, sinceramente solidali e con un grande senso dell’umorismo. Chiamo il mio amico “crucco” e lui mi chiama “macaroni” e ridiamo tanto. Vedo la destra europea che monta, vedo il passato incancrenito, vedo la mia multiculturalità di sempre senza la quale non riesco più a vivere (per questo amo Berlino, fra le altre cose).
Oggi però ho visto una cosa nuova, mentre quasi in lacrime raccontavo questo episodio al mio amico: il punto è che nella mia coscienza io sono europea, quindi non me lo aspetto, non lo capisco subito, non mi so difendere.
Ma anche: e se fosse successo a una donna siriana davvero? (come di certo avviene, raramente a Berlino, molto spesso in Italia per chiunque non sia italiano o porti nel corpo dei segni: colore della pelle, tendenza sessuale, tatuaggi).
Lei davvero non può difendersi, se non con l’odio sociale, condiviso, che a volte può diventare un detonatore molto potente di quello che sta succedendo adesso nel mondo.
Questo ho detto al mio amico: dopo 100, 1000 volte che sei trattato così, umiliato, rifiutato, offeso solo per il colore della tua pelle, dopo milioni di supposizioni su di te, senza neanche aver mai sentito la tua voce, come la pensi, con la continua richiesta di “tornartene a casa tua”, può succedere che perdi la testa, sali su un tir e lo butti sulla folla.
Attenzione, non è una giustificazione: parlo di odio sociale. Parlo di quello che stiamo facendo tutti. Parlo di una cosa più preoccupante del terrorismo, ma contro cui si può agire, qualcosa su cui tutti abbiamo una responsabilità e possiamo essere attivi.
Evidentemente assomiglio a una siriana.
E ne vado anche piuttosto fiera.
Certo, sono nata a pochissime miglia dalla Libia, molte di più dal Quirinale e dal Colosseo, per non parlare della bela Madunina o della Foresta Nera.
La verità è questa. Come siciliana, o forse dovrei dire italiana, non sono una rifugiata solo per un caso fortuito (chiamiamolo pure una gran botta di culo), fatto di geografia decisa a tavolino.
Vivo in un posto in cui dal mio aspetto sembro: siriana, marocchina, tunisina, brasiliana, messicana, spagnola…continuo?
Io non sono una rifugiata solo per un pugno di miglia, ci hai mai pensato?
[Proprio in questo momento un ragazzo siriano, nel coworking da cui scrivo, mi ha passato un volantino di una app fighissima, sociale e di scambio di oggetti, skills, tempo ed eventi. Eccola, live.]
Ghali chissà quante se ne è sentite e se ne sente dire in Italia, eppure ha stile da vendere e per fortuna he don’t care.
As I don’t care tutte le volte che mi sono sentita offesa da alcuni italidioti del nord amici di Salvini. Offesa solo in quanto siciliana, per il mio accento a cui peraltro sono abbarbicata come al seno di una madre. Quello che mi preoccupa è che siano anche molto giovani. Quello che mi consola è che fra Veneto, Lombardia e Piemonte ho fra gli amici più cari di sempre.
Ghali ha stile da vendere come ne ha uno dei miei migliori amici, che è siriano e vive a Berlino. E’ un attivista, film maker, scrittore, e no, io non l’aiuto, non è in difficoltà di nessun tipo. Siamo amici vuol dire che ridiamo insieme e facciamo monellerie, e ci confidiamo e ci consigliamo libri. Siamo alla pari.
Solo che lui ha mangiato più merda di me. Ma l’ha trasformata alla grande. Solo che il suo passaporto gli dà meno mobilità del mio. Molto meno, ma proprio poca, quanto non puoi nemmeno immaginare. Guarda (rosso significa evidentemente NO VISA):
e per approfondire l’argomento “peggiori passaporti al mondo” clicca qui.
Mi dispiace per chi non ha amici come lui, sinceramente.
[La foto dell’articolo è uno dei miei occhi, in uno scatto di Gisella Micalizzi].