Fin da piccola ho sempre desiderato la pelle nera,

e una voce roca da blues.

Ho sempre desiderato gli occhi che emergono come fari dal viso, lo stile inconfondibile di chi ha la pelle nera. La camminata. E’ proprio un talento direttamente connesso, mi diceva un mio amico. Il modo in cui cammini fa parte del tuo stile, perché i bianchi non lo coltivano? E’ vero, cacchio.

Ho studiato swahili e arabo per questo, ho portato i dreadloks per questo, sono innamorata di Ben Harper e Patrice per questo, porto il turbante (anche) per questo.

E a dire il vero pensavo che tutto il mondo avesse dei buoni motivi per desiderare la pelle nera.

Da piccola non capivo il razzismo. Non lo capisco neanche da grande, onestamente. Non capivo come gli altri vedessero un problema in una differenza così bella. Come piccola siciliana non capivo perché i miei amici siciliani dalla pelle nera non avessero le mie stesse opportunità. Da italiana, non capisco perché se sei nero in Italia sei relegato a delle professioni a dir poco umili. Umilianti, è la parola giusta.

Ho sempre invidiato il sorriso che esplode sul volto bruno e il senso del ritmo, e scrivendo mi rendo conto che anche questi sono cliché.

Dopo una vita benedetta dal viaggio e dalle culture diverse, quando passo un po’ di tempo in Italia mi sento male. Non proprio male, a disagio. Seppure il nostro è un Paese sudeuropeo (ebbene sì, l’ho scoperto a Berlin che sono sudeuropea!), la strada verso l’integrazione vera è molto molto lunga.

Una bonaria pacca sulla spalla, nel migliore dei casi, ma nulla di più. Cugino, fratello. Devo dire che il resto del mondo non sta meglio, in effetti la mia esperienza multiculturale VERA è stata Berlin, che sento casa mia proprio per questo. Anche se ho studiato africanistica all’università.

Perché scrivo questo post? Perché sono fortunata ad aver recentemente chiacchierato con una mia bellissima amica dalla pelledelcoloredicuiiolavorrei, ed aver letto avidamente tutto quello che ha da dire Chimamanda Ngozi Adichie.

E proprio sulla scia delle conversazioni con la mia amica e di quelle immaginarie con Chimamanda, mentre poco fa sfogliavo un programma americano  di fitness a casa (che mi sembra geniale), mi sono sentita male. 200 pagine. Bene, in 200 pagine di immagini e motivazioni e buoni tip, non c’è una, dico una, modella afro(americana). O dai tratti orientali. Il mondo è tagliato per i bianchi. Fateci caso. Adesso.

Ora mettetevi nei panni di chi passa la vita a leggere di consigli che non tengono in nessun conto il colore della sua pelle, e non hanno dunque nessuna utilità. Per esempio, le riviste di moda quando fai la fila dal medico o dal parrucchiere. Le mie amiche dalla pelledelcoloredicuiiolavorrei leggono suggerimenti di make-up per una pelle bianca.

Capelli. Non c’è nulla sui capelli afro. O su tutte le acconciature che si possono fare e che invidio moltissimo perché non mi staranno mai bene come alle mie amiche dalla pelledelcoloredicuiiolavorrei.

Nessuno tiene conto di lettori e lettrici che non hanno la pelle e il background bianco/occidentale. Da poco il marketing s’è fatto furbo. Ma solo un poco.

Quando Obama è stato eletto io ero felice. Mi piace ancora moltissimo, e ovviamente anche e soprattutto Michelle Obama. Non voglio iniziare un dibattito politico, non sarebbe il caso, e poi io mi scoccio velocemente a discutere, lo sapete. Però ho avuto la fortuna di trovarmi a NYC quando Obama era appena stato eletto. Se studiate un po’ di storia americana, potete capire perché. Perché Chi ha la pelle nera, e lui/lei e i suoi antenati erano stati molestati, violentati, uccisi, denigrati, esclusi (e non continuo) avevano la prova vivente che forse davvero QUEL problema era stato superato: un afroamericano era diventato niente popodimeno che il Presidente degli Stati Uniti! Una speranza per TUTTE le diversità, TUTTE.

Per chi ha la pelle bianca, come me (ahimè) è molto difficile da capire senza una buona dose di empatia. Anzi, direi impossibile.

Io stessa mi sono sentita un’imbecille chiedendo ad una mia amica dalla pelledelcoloredicuiiolavorrei: sì, ma quali sono le tue origini? Lei aveva semplicemente risposto alla mia domanda: di che nazionalità sei? Io ero andata oltre per via del colore della sua pelle. Che cafona sono stata. Quando me l’ha spiegato, quando mi ha spiegato quanto fosse stressante questa domanda, ogni volta, lì ho capito.

Allego questo video, se avete un po’ di pazienza e empatia. (E un po’ di inglese vi prego tutti, imparatelo. Non è più una questione politica, ormai parlare inglese è la volontà di comunicare con tutti proprio tutti, capire e farsi capire. Anche con gli strafalcioni, non fa niente, ma sforziamoci).