Cloud Atlas, l’Atlante delle Nuvole.
Sto disegnando il mio, come una geografa dei tempi di Ipazia su un veliero spinto dai venti.
Distesa su un prato, oggi, le ho soffiate via, quando assecondavano l’ombra.
Le ho ammirate, ne ho osservato i contorni scomposti, ho scoperto facce e mostri, sorpreso animali e mani che si avvicinavano, e poi si allontanavano.
Da quanto tempo non stavo semplicemente a guardarle, in questo strano gioco che si dimentica da grandi?
I grandi, che devono prendere decisioni, pagare bollette e tasse, fare i conti con ciò che chiamano successo, e perdersi ciò che è successo.
E’ un attimo. Cosa è successo fra noi? Cosa sta succedendo, adesso?
Più in là sul prato un uomo si rulla una canna, due ragazze giocano con un cagnolino. I’m the boss, dice una al suo cane. Really? Penso io. Sei tu il capobranco? Questo malsano vizio di appartenere a chi ci dà da mangiare, questo malsano vizio di pretendere di essere superiori solo perché amiamo.
Il volo di un corvo sibila sul mio naso, mentre scruto il cielo con gli occhi stretti.
Uomini incappucciati vendono droghe, una donna mi include nella sua fotografia. Mette a fuoco, indugia, chissà che ha dipinto, non la vedrò mai. Lei sì, la vedranno i suoi amici veri, e quelli virtuali.
Quattro ragazzi cambiano il mondo insieme a due birre, indossano il giubbotto ad ogni nuvola di troppo.
Poi la nuvola si sposta, e il giubbotto vola sull’erba, nuvola scura sul prato.
Le nuvole, leggere e indifferenti passano. Eppure c’erano, un attimo fa. Intente in un lavoro grandioso, non possono indugiare, non possono guardare.
Come falchi espansi e lenti spingono i loro seni da polene lontano, verso nuovi mari, sconosciuti a noi.
Cambiano forma, amiche del vento.
E noi qui, a incrociarci senza capire davvero perché. Cosa ci siamo scambiati? Che ne è stato della purezza di un attimo? Che ne è stato del meglio di noi, di quando non ci conoscevamo?
Mi stavi più simpatico quando non ti conoscevo, piccola nuvola. Lasciamo che il vento ci allontani, in una frazione di memoria.
Mi hai lasciato temporali, riprendo la semina, riprendo l’aratro, accarezzo i fiori, li lancio al vento, li offro alle nuvole.
Rispunta il sole, il volto mi brucia, ne ho preso troppo.
Riparo ad un caffè, con te verde, con me bianca.
Bianca come una nuvola.
Che cambio forma, amica del vento.
Suole di vento, mi chiama qualcuno.
Forse quella che io chiamo indecisione è sostanza di vento, sostanza di nuvole.
Le nuvole oggi dicono nonna.
Una nonna, che mi faccia ragionare.
Una nonna nuvola, dai capelli bianchi, dal profumo di terra, dalla voce increspata dalle rughe attorno alle labbra.
Una nonna segreta, che mi parli dal cuore, e non dal calcolo. Che mi parli al cuore, non al buonsenso.
Ma questa nonna è una nuvola, e il vento determinerà la direzione, so di essere un buon marinaio.
E’ difficile lasciare Berlin.
E’ difficile farlo, ed è difficile non farlo.
E’ come una nuvola, questo sentimento. Si sposta e cambia forma, modula calore e colore, così lentamente da essere rapido.
Qual è la città delle nuvole?
Qual è il loro posto?
Sono nuvola, ecco. Ho capito.
E il viaggio continua, surfando le nuvole.
(Nella foto con una mano tengo il volante, con l’altra immortalo una nuvola impigliata nelle sacre montagnole di Fuerteventura).