Il viaggio di Ulissa, o Odissea.
Canto I.
Canto il mio Sud.
Canto i panni stesi al sole e al vento, canto i vicoletti, feritoie di cielo.
Canto le chiese, l’odore di incenso.
Canto i Santi, gli angeli con le Ali, e le acquasantiere a forma di conchiglie.
Canto la sabbia preziosa, gioiello dei piedi, canto il Mare e il suo rombo, il suo blu e la sua spuma, il suo odore perfetto.
Canto il sorriso della gente, la sua gentilezza, il suo calore e dignità.
Canto l’olio d’oliva, oro liquido sui pomodori, e il pane impastato da mani come le mie.
Canto la sua musica, i fianchi larghi che si muovono.
Canto le onde e i gabbiani, le alici e le sardine, canto il cielo azzurro, canto la pioggia e le nuvole che combattono col sole, felici di perdere, arrendevoli e incantevoli.
Canto le vele delle barche, i timoni e le ancore.
Canto la pelle bruciata dei pescatori, il take off dei surfisti.
Canto le mani dei contadini, striate di terra e foglie.
Canto i parti arancioni degli alberi, le solanacee che pendono orgogliose, pronte a esplodere nei piatti.
Canto il cuore delle donne, gli occhi liquidi degli uomini, la curiosità monella dei bambini.
Canto l’arte e la bellezza, memoria profonda di secoli rarefatti.
Canto l’ospitalità sincera, la sapienza del condividere.
Canto il sacro ad ogni angolo, presente e vibrante.
Canto me stessa.
Canto il ritorno.
Canto.