Diario di quarantena, #2
Palermo, 12 marzo 2020
Riflessioni sparse.
Ascolto la mia rabbia, la rabbia nei confronti di chi non sta attento, di chi esce di casa, di chi non usa protezioni.
Nei confronti di chi dice che noi italiani stiamo overreacting, nei confronti di chi mi prende in giro e mi guarda male per guanti e mascherina, nei confronti di yoga teacher che si sgolano dicendo che loro fanno salire le difese immunitarie senza sapere lontanamente di cosa parlano.
A chi dal nord è venuto al sud, a chi mette in pericolo gli altri per il proprio vantaggio personale.
E mi rendo conto che la riflessione è molto molto più ampia. E che è qui che posso guardarmi dentro, esercitare compassione e consapevolezza.
L’astio che sento le poche volte che sono scesa da casa, è paura.
Paura nera.
Paura del contagio.
Paura dell’indefinibile.
Paura di una cosa che non si vede.
Paura di perdere il lavoro, o di non fare affari.
E’ importante non prenderla sul personale, in questo momento, mai.
E’ importante trovare il proprio centro, considerando che non tutti vogliono trovarlo e che questo non si può controllare.
Una volta che il governo e L’OMS si sono pronunciati, bisogna rilassarsi.
Smettiamola.
Smettiamola di dire agli altri cosa fare.
Pacificiamoci.
Abbiamo la fortuna di avere una finestra sul mondo, internet, usiamola bene questa finestra.
Smettiamola.
E’ una situazione senz’altro difficile. È orribile uscire da casa furtivi per fare la spesa, ed essere giudicanti verso chi non usa le protezioni, e sentirsi giudicati da chi non le usa. Questo allontanarsi, i metri di sicurezza, questo terrore dell’essere infettati.
Smettiamola.
Non le possiamo controllare, le reazioni degli altri. Possono ferirci, ma cerchiamo di comprendere, la perfetta letizia, la chiamava San Francesco.
Smettiamola.
Concentriamoci sulle cose belle.
Concentriamoci sulle videochiamate con le amiche, sull’ironia, non sarà il nostro ennesimo post a fare la differenza.
E se pure fosse, calmiamoci.
Su una serie tv stupida ho imparato questo gioco per ristabilire la calma, la protagonista usava le iniziali CALM dando un nome ad ogni lettera.
Faccio la mia:
C Carmelina (mamma)
A amore
L luce
M Michele (papà)
A amicizia
Cerchiamo di essere lievi. Lievi, gentili. Ascoltiamoci. Tutte le nostre reazioni sono dolore, paura, sospetto. Scostiamole con le mani, vediamo cosa c’è sotto.
Anche questo scrivere al plurale, è un dono. Io insieme a tutta l’Italia che mai è successo nella storia, io insieme all’umanità, che questo sì era più nelle mie note, io che stimo il governo italiano, se me lo avessero raccontato avrei riso.
Smettiamola.
Stasera ho voglia di stare con me. È come se da giorni fossi sulla pubblica piazza, internet place.
Stasera mi leggo un libro, stasera scrivo, stasera non giudico nessuno, stasera guardo in faccia la mia frustrazione, stasera spengo il mio senso di colpa del non aver compreso subito cosa stesse succedendo.
Solo perché sono molto fortunata mi sono stati aperti gli occhi il 25 febbraio da due persone che stimo. Solo per questo.
Basta, Eli, non pensarci più.
Stasera stai con te. Affacciati a te stessa, stendi i panni leggeri del tuo essere.
Abbandonati, ancora di più.
Non ti affaccendare, ancora, non ti riempire di impegni.
Non voglio più dire niente a nessuno. Non ho il controllo e la consapevolezza totale dello stato d’animo di nessuno.
Chi teme la peste, chi non teme niente, chi non vuole in fondo più vivere, chi non ha nulla da perdere, chi ha tutto da perdere, chi deve fare il ribelle perché è come se lo stato-mamma gli dicesse: non uscire! E invece io scappo da casa, chi non sa stare con se stesso, con ciò che ha costruito, che ne so io?
Che ognuno faccia ciò che vuole, ciò che sente. Che si lamenti, che maledica, che benedica, che faccia ciò che vuole.
Cosa posso fare io?
Io posso seguire ciò che mi dice il mio cuore. Stai a casa Eli buona buona, così come fai effettivamente da un mese e mezzo.
Stai a casa tranquilla, tornerà il tempo di uscire, di danzare, di divertirti, di baciare e abbracciare.
Stai con questo, non è una prova personale, è una prova collettiva.
Così come la storia del maestro era una cosa collettiva, questa lo è ancora di più.
Una pandemia globale, non è mai successo, a memoria mia né di nessuno, forse dei nonni.
Una cosa enorme, che riguarda tutti.
Una cosa che tiene conto di noi, come corpo, mero corpo, carne ed ossa.
E lo spirito.
Un ritiro. Senza alcuna scelta.
E fai pace con qualcuno, se puoi.